Flagello o vittime?

I cinghiali, i caprioli e i daini che devastano le colture agricole sono le vittime inconsapevoli, assieme ai contadini,
degli interessi dei cacciatori; fin dai primi anni 80 sono stati deliberatamente lasciati moltiplicare, senza che nessuno, a
parte l’ENPA, si opponesse al ripopolamento con animali d’allevamento. Ed ora neppure battute di caccia senza alcuna
regola (si spara ai cuccioli per costringere la madre a spostare il branco) riescono a risolvere il problema, a parte le migliaia
di animali uccisi durante la “normale” stagione venatoria.
CIÒ DIMOSTRA CHE IL FUCILE DEI CACCIATORI NON È LO STRUMENTO IDONEO PER CONTROLLARE LE SPECIE ANIMALI IN SOVRANNUMERO. PER AVERE
SEMPRE PREDE DA ABBATTERE I CACCIATORI HANNO INFATTI INTERESSE CHE LA SPECIE SIA NUMEROSA ED I DANNI ALLE COLTIVAZIONI NON DIMINUISCANO.
Quindi le soluzioni vanno cercate altrove come chiediamo, ormai inascoltati, da decenni: come avviene in molte parti del mondo per
problematiche simili, si commissionino ad istituti scientifici, non legati ai cacciatori, studi di fattibilità e ricerche, propedeutici
a campagne di somministrazione di sostanze “specie-specifiche” in grado di limitare le nascite delle specie selvatiche in presunto
sovrannumero.
Ma, in aggiunta e fin da subito, valutando le situazioni locali e utilizzando i fondi delle PROVINCE sulla caccia:
-
Costituire, in zone e boschi lontani dalle colture, da aprile a settembre, depositi di cibo continuamente riforniti
(ortaggi, vegetali e sale), eventualmente recuperati dagli scarti delle produzioni alimentari, per limitare la mobilità
degli animali.
-
Fornire alle aziende agricole i “pastori elettrici”, circuiti con cavi alimentati da batterie a basso
voltaggio (procurano solo fastidio) che impediscono l’avvicinamento alle colture; e dare contributi per la costruzione di
robuste recinzioni attorno ai campi coltivati.
Agli scettici ricordiamo che queste sono le soluzioni già adottate da decenni in molte parti del mondo, dopo il fallimento del fucile (somministrazione di mangimi medicati agli ungulati del Nord America ed agli elefanti africani; barriere di migliaia di chilometri in Australia, contro emù e dingo o in Argentina, contro guanachi e nandù).
LA REPUBBLICA - SCIENZA & TECNOLOGIA – 31 Agosto 2006
Ricercatori americani e del Centro di ecologia alpina hanno accertato che gli ungulati proteggono dalla riproduzione dei
parassiti e le infezioni.
"Meno caprioli? Aumentano le zecche" Gli scienziati lanciano l'allarme.
"Nelle piccole aree il fenomeno è molto evidente" di CRISTINA NADOTTI.
ROMA - Meno caprioli, più zecche. Uno studio realizzato in collaborazione tra il Centro di ecologia alpina di Trento e
l'Università americana di Penn State fornisce un altro argomento a favore di chi si oppone all'abbattimento dei caprioli.
Nelle aree in cui questi ungulati sono più numerosi si riduce la popolazione delle zecche e i caprioli non vengono infettati
dalle malattie che questi parassiti trasmettono, rendendo più "diluita" la concentrazione di germi patogeni.
"Le nostre osservazioni hanno accertato che in zone nei quali i caprioli erano stati allontanati - spiega Annapaola P. Rizzoli, del
Centro di ecologia alpina - c'è stato un aumento consistente della presenza di zecche e che quindi le zone in questione si sono
tramutate in potenziali punti critici per la diffusione delle malattie trasmesse dai parassiti".
"I caprioli pur se morsicati dalle zecche non vengono infettati dai batteri trasmessi dai parassiti, quali quelli della
malattia di Lyme - spiega Rizzoli - perciò interrompono la catena di trasmissione di alcune infezioni". "Per ora i nostri studi
si sono limitati all'osservazione di piccole zone nel territorio di Trento - dice la ricercatrice italiana - ma stiamo portando
avanti un progetto europeo, per verificare se quanto osservato è valido su una scala più ampia".

I caprioli sono fondamentali nel ciclo riproduttivo delle zecche, che si nutrono del loro sangue per fare un "pasto finale" prima
di lasciarsi cadere e produrre migliaia di uova. I ricercatori hanno osservato che portando via gli ungulati da una zona le zecche
tendono ad infestare maggiormente gli altri ospiti abituali, i roditori, che al contrario dei caprioli sono in grado di favorire la
trasmissione di moltissimi batteri. In pratica, una zecca che si ciba del sangue di un capriolo e non è ancora infetta resta "sana",
mentre una zecca che si ciba del sangue di un topo ha altissime possibilità di "arricchirsi" di batteri patogeni e continuare a
trasmetterli, anche agli esseri umani.
"Sono molto pochi gli studi che hanno analizzato nel dettaglio l'aumento della presenza di zecche sui roditori nel momento in cui si
allontanano i caprioli dallo stesso habitat - spiega Rizzoli - Le nostre osservazioni sono particolarmente importanti anche per capire
quale rapporto esista tra l'allontanamento degli ungulati, l'aumento delle zecche e la dimensione dell'area nella quale il fenomeno
viene osservato ".
Per un periodo di sei mesi i ricercatori hanno catturato roditori su un'area di circa un ettaro e mezzo nelle Dolomiti, conosciuta
come zona di alta trasmissione di encefalite da puntura di zecca. Le analisi statistiche sul numero di parassiti trovati sui roditori
hanno mostrato che, a paragone con altre zone, quelle in cui non c'erano caprioli erano infestate da molte più ninfe e femmine adulte
di zecca.
"Dobbiamo stare molto attenti ad allontanare i caprioli da piccole aree, anche dai giardini e dai parchi - sostiene Sarah Perkins,
ricercatrice della Penn's State University - poiché mandare via i caprioli potrebbe facilitare la riproduzione di zecche e soprattutto
di quelle che trasmettono l'infezione dell'encefalite".
(31 agosto 2006)
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